venerdì 3 aprile 2020

Vieni via con me, nell' Extraordinario

Piccola guida per viaggi minimi, fuori dall'ordinario. Un elogio alle lentezza, per chi intende il viaggio come un'esperienza fatta di scoperte e di emozioni, anche a pochi chilometri da casa. Per i curiosi che vogliono incontrare, e respirare, la verità dei luoghi e delle persone che li rendono unici e irripetibili. Itinerari sostenibili, in luoghi da sostenere.



Un angolo di Cereseto, piccola frazione di Compiano, non lontana da Bardi. Ovunque ci si aggiri, tra case, squarci, piazzette e insegne abbandonate, fotogrammi di vita passata.   


Straordinari.


A renderli così, fuori dall’ordinario, e a far in modo che ogni luogo raccontato o evocato si colleghi ad un altro, come in un continuo rimando, una continua ricerca, un passo che tira l’altro, è un ingrediente fondamentale, un filo conduttore inesauribile: l’umanità. Partendo dall'asse della via Emilia, linea di confine e di collegamento al tempo stesso, e anche dalla città, ci si sposta verso l'Appennino o verso la bassa pianura: quelli che vengono proposti sono luoghi che amo definire 'patrimonio di umanità', animati, in cui è tangibile, presente l’essenza, l’anima chi li vive o di chi li ha ideati siano essi artisti, lavoratori, cultori di memorie, inventori della vita.

Cappelli (non di paglia ma di trucioli) esposti, insieme alle "trecce", a Villarotta di Mantova, all'esterno del Museo del truciolo: una storia di lavoro poco conosciuta ma unica nel suo genere   

   

Località, paesi, pezzi di strada, percorsi come tanti, che passerebbero inosservati, perfino anonimi, non fosse per la presenza di singoli, uomini e donne, o di comunità, che hanno inventato e vitalizzato spazi urbani o naturali, raccolto, collezionato ed esposto oggetti, con un’idea, un progetto, un’ispirazione in testa. Affamati di un' arte, quella di arrangiarsi e di arrangiare luoghi, che attraversa come un’onda i popoli di tutti i continenti, per dare vita a luoghi a loro immagine, lasciando traccia di personalità, intuizioni, bellezza, invenzioni uniche.

Pietra, cemento, colori e creatività: lungo la strada per Brugnello, in val Trebbia, un artista ha disseminato queste opere incantevoli: un inno alla cura dei luoghi.      


Così, un angolo di Appennino, nel perimetro limitato di un giardino, ci sbatte in faccia, inaspettatamente, un parco dell’arte 
che mette insieme opere e natura, fiori e costruzioni materiche; un lembo di terra a lato del fiume diventa porto, capolinea d’incontro per viandanti di tutto il mondo, un paese disabitato conserva migliaia di voci, una strada storica fa da raccoglitore a pagine sparse di memorie. Un luogo di lavoro abbandonato regala la poetica della civiltà del lavoro. Gli itinerari o i luoghi proposti sono percorribili in giornata: si può decidere di proseguire, cambiare strada, deviare in un altro percorso. Oppure fermarsi e scegliere di mangiare in un’osteria.


                                    In un prato di Toplecca, un tocco di colore tra i fili d'erba



O, ancora, di continuare la strada senza meta, Andare alla scoperta, per costruire la propria guida, prendendo queste pagine come spunti dai quali partire. Come modalità di ricerca. La maggior parte degli itinerari sono collegati geograficamente, ma sono soprattutto le esperienze e le relazioni a legare tra loro le località: in questo viaggio si incontrano luoghi dell’anima, insomma, pregni di umanità. Mettiamo la nostra nello zaino, insieme alla curiosità e... vieni via con me.


Donatella Canali 












Via dall'autostrada: seguendo la statale della Cisa



            Via dall'autostrada



           

Statale della Cisa: le mitiche curve e tornanti della '62, la strada per il mare                                  prima dell'autostrada, scenario di gare automobilistiche storiche che videro
protagonista anche Enzo Ferrari.   

          
Via dall'autostrada. Per scegliere la lentezza, per cercare mete seguendo una strada che è già di suo una una meta, la SS62 della Cisa, pardon la carrozzabile della Cisa, per omaggiare la Duchessa
Maria Luigia.

Dalla città la imboccheremo verso Berceto perchè prima, attraverso la Fondovalle Taro, ci dirigeremo verso Borgotaro, per una prima sosta. Dalla provinciale 308 pochi chilometri dopo il cartello di Roccamurata, si trova la la strada che conduce a Branzone che scende fino al ponte. Superato questo si svolta a sinistra, seguendo le indicazioni per Granara, segnalate su cartelli di legno.

https://www.google.it/maps/dir/parma/berceto/



                                Belvedere sulla Lunigiana dal Passo della Cisa   

Dal villaggio ecologico occorre ritornare sulla provinciale per proseguire il viaggio verso Lozzola, piccola frazione bercetese, nota per le ottime patate: prima di arrivare a Roccaprebalza, con la SP 523, non si può evitare, visto il cartello che invita, una deviazione per Corchia, paese della farina di castagne, delle miniere, della chiesa con il campanile-portico, dei pellegrini. Il paese di un artista, nato tra queste viuzze a pochi metri dal Manubiola e celebrato con un museo che porta il suo nome: Martino Jasoni. Da Corchia il percorso continua, verso la Lunigiana.






Angoli di Toplecca, con i suoi muri a secco, le volte, le case abbandonate e le indicazioni della via Francigena








Villaggio ecologico di Granara: Via dall'Autostrada

Granara, un sogno realizzato 




                                Pannelli solari su questa costruzione, decorata con vetri colorati


Ricerca, sogno, sperimentazione. Nel cartello che annuncia l'arrivo a Granara è riassunta l'anima di questo luogo. Una località disabitata di Valmozzola, nella frazione di Branzone, che dal 1993 è stata adottata e poi recuperata angolo dopo angolo, casa dopo casa, aree verdi, spazi comuni, da una comunità. L'esito di un sogno, appunto, realizzato con tanto lavoro e da un'idea precisa: farne un villaggio ecologico, con energia rinnovabile, pannelli fotovoltaici. Autosufficiente.



                      Il cartello artigianale che annuncia l'arrivo alla località di Granara
 


Un luogo in cui si può parlare di arte, ecologia, educazione ambientale, formazione, ospitalità, teatro, volontariato. Per tutto l'anno questa località prende vita con tante iniziative: una fra le tante, il Festival di Granara che accoglie centinaia di visitatori che partecipano a spettacoli, laboratori, soggiorni per bambini e ragazzi: il tutto all'insegna della sostenibilità, del rispetto dell' ambiente, della creatività e della socializzazione.

                           Una delle case di Granara, recuperata alla vita           

Arrivando qui durante l'evento, percorrendo la strada a picco sul torrente, non propriamente agevole, si arriva in quest'isola fuori dal mondo dove, sotto un tendone da circo piazzato al centro di un campo e circondato da boschi e da campeggi improvvisati, si può assistere a molti spettacoli, di arti varie e di teatro, soprattutto: teatro e arti al di fuori dei luoghi deputati, tra boschi, in mezzo a gente che sperimenta altre frontiere dell'intelligenza: edifici, energia, modi di coltivare; e soprattutto nuovi modi di vivere e di crescere.



                A Granara sono organizzati laboratori, settimane vacanza per bambini e adulti: 
                i percorsi da fare sono  tanti      



Questo è il teatro, dagli albori dell'umanità,qualcosa che connette le persone e i loro progetti, il mondo reale e quello che vorremmo. A 
partecipare è un'umanità variegata che arriva da città diverse, e che si ritrova con un'unica idea di libertà, di un progetto di vita, di un mondo possibile. Qualcosa che molto assomiglia al movimento
pacifista degli anni Sessanta ma più attuale, concreto e consapevole. La presentazione riassume la filosofia di Granara. 


"Qui l’arte incontra l’ecologia: docce solari, intonaci di terra cruda, compost toilet,fitodepurazione, orti biologici, educazione alla sostenibilità e alla nonviolenza. Lentamente abbiamo abitato l’antico villaggio: artigiani di storie, orticoltori oziosi, ingegneri poeti e bambini che imparano liberi".



                               
                                              Uno degli appuntamenti a Granara



Un villaggio che nasce nel ‘ 93 dal sogno di uscire dal sistema, ricercare l’autosufficienza e l’auto-produzione. Negli anni Granara è diventata una scuola di buone pratiche, di sostenibilità, di cambiamento, in cui convivono arte, teatro, bioedilizia, energie rinnovabili, scambi tra città e ruralità. Anche il turismo sostenibile è uno dei temi sviluppati. A Granara ci sono infatti diversi modi per passare le vacanze: partecipando a uno dei week-end tematici oppure semplicemente risiedendo al villaggio. In entrambi i casi la preparazione dei pasti è condivisa con gli ospiti ed è prevista una visita accompagnata al villaggio.




Un tendone da circo in mezzo all'Appennino: centinaia di persone in arrivo da diverse regioni tutt'Italia  assistono agli spettacoli e a incontri tematici organizzati     


Durante l'anno vengono programmati week-end legati a un tema specifico: dal cucinare al bosco, dall'argilla all'acqua, per fare qualche esempio. Nei due giorni si alternano attività strutturate e momenti di riposo ed esplorazione libera.La struttura organizzativa di Granara ha la forma di rete. Ne fanno parte 6 gruppi: Alekoslab, Centopassi, GATT (gruppo attrezzi: si occupa della manutenzione dei boschi e dell'officina), G.eco, Teatro, Granèra (allevamento e agricoltura biologici).


Villaggio ecologico di Granara

loc. Granara frazione Branzone - 43050
Valmozzola Parma Italy
E-mail villaggio@granara.org








                                  Il cielo sopra Granara




















Corchia, indietro nel tempo: Via dall'autostrada

Corchia 


Edifici vicini, come a farsi caldo, a proteggersi gli uni con gli altri dalle intemperie e dai pericoli, divisi dalla strada lastricata che collega stretti passaggi, vicoli, volte, piccole scale. Corchia è, senza
luoghi comuni, un tuffo nel medioevo, con le sue pietre secolari, i tetti di ardesia, la semplicità architettonica, solida, senza fronzoli. Tra gli edifici che il borgo centrale tocca, l'ex chiesa parrocchiale dedicata a San Martino, non più utilizzata dopo la costruzione del nuovo edificio parrocchiale negli anni '50. A caratterizzarla, il campanile- porticato, esempio di architettura "razionale", pratica, che sfrutta il poco spazio a disposizione. Il nucleo compatto delle abitazioni è un'isola al centro di boschi e castagneti.



  Il borgo centrale di Corchia annunciato dall'insegna scritta sul muro di pietra. 
            A sinistra,  Casa Corchia, sede museo Iasoni.          

          

Le castagne, qui, hanno avuto da sempre un ruolo fondamentale per la sopravvivenza. Restano ancora, ormai in gran parte dismessi, i casoni, le costruzione che facevo da essicatoi per la produzione della farina di castagne, che ancora oggi è protagonista della festa della Pattona, che si tiene ad agosto. Dal paese è possibile raggiungere i castagni secolari attraverso il "sentiero dei saggi". Oltre al bosco, l'economia di questo centro per un periodo a cavallo tra l' Ottocento ed il Novecento venne assicurata dall'attività estrattiva di minerali dalle miniere, situate tra il Monte Binaghè e il torrente Manubiola, che custodivano rame, ferro, zinco e feldspato: un'attività discontinua che divenne più organizzata negli anni Trenta, con la costruzione di una teleferica per il trasporto dei materiali, fino ad allora eseguito a dorso di mulo.


   Il portico-torre campanaria  

Ma i cantieri ebbero vita breve: a ricordarne la storia c'è oggi un percorso di visita che permette, in alcuni periodi e su prenotazione, di raggiungere e le miniere e comprendere un'importante attività locale e unica nel suo genere. In questo borgo antico si respira il senso di comunità, ancora oggi. Il rispetto della propria storia delle proprie radici si vede tutto nella scelta di mantenere intatto l'aspetto delle abitazioni, anche con il recupero attento e rispettoso. Come se tutti avessero chiaro in mente il valore del luogo, la fortuna di abitarlo. Un senso di comunità, accogliente, che si percepisce durante le iniziative e le feste annuali, sempre legate alle tradizioni, che uniscono generazioni. Giovanissimi e anziani, insieme, per onorare un patrimonio straordinario ricevuto in dote.

 Il lavoro nelle antiche miniere 

   

Dal Passo della Cisa, verso la Lunigiana; Via dall'autostrada


Toplecca 


Di ritorno sulla provinciale, si prosegue superando Roccamurata per raggiungere Berceto e la statale della Cisa, tenendo l'obiettivo puntato sul Passo. Via dall'autostrada, ancora una volta, e fuori dagli autogrill: percorrendo la vecchia statale, dopo aver incontrato curve "dei baci", tornanti, pini marittimi, ricordi di bolidi impolverati, un paesaggio tra i più belli d'Italia, piccoli paesi, un monte giurassico come il Prinzera da aggirare, trattorie da tortafritta e salumi, mica camogli e rustichelli da microonde: l'evocazione di un'Italia poetica, che si permetteva l'auto e con quella la domenica ci andava al mare, con il pranzo al sacco nel baule, l'ombrellone legato al portapacchi, su questa autostrada ante litteram, avventurosa, dove le soste erano nei tanti bar, botteghe e osterie diffuse, ora chiuse perché manca il passaggio di un tempo ma ancora visibili nelle vetrine e insegne sbiadite.
                         

 L'appennino lunigiano visto dal Passo Cisa    



Anche al Passo, traguardo intermedio per la spiaggia e sosta d'obbligo, conserva tutte le tracce del glorioso passato. Prima di sconfinare merita anche oggi una pausa, per raggiungere la chiesetta della Madonna della Guardia, simbolo del punto di confine, in cima alla ripida scalinata. Risalirla significa conquistare una vista impagabile. Proseguendo, ormai in Toscana, vale la pena sostare ad un altro "belvedere" sulla Lunigiana e sull'accenno di Apuane, un po' prima dell'abitato di Montelungo. E' evidentemente un punto di riposo per i pellegrini che scendono dal Passo dal sentiero battuto e ben segnato.


.                             
  Il tracciato della Francigena dopo il Passo Cisa  



Un cartello con un mappa della Francigena in Lunigiana ci segnala che questa strada, questi luoghi, questi paesaggi , ci connettono con la storia. Sugli stessi sentieri che calpestiamo ora passarono re, imperatori, eserciti e santi: Totila, il Re dei Goti, e Litprando, re longobardo, l'imperatore Ottone I° e nel 990 Sigerico, vescovo di Canterbury, Filippo II° e Santa Brigida, il re di di Francia Carlo VIII° e l'imperatore Carlo V°, per citarne alcuni. La via Francigena è per questo un vero cammino europeo e culturale radicato in una storia secolare. Scolpita nel paesaggio. Superato Montelungo, dopo alcuni chilometri un bivio indica la direzione per Si lascia la SS62 per inoltrarsi in Valdantena, lungo la strada che porta fino al passo del Cirone e quindi in val Parma.



                   

                                     Il cartello che annuncia l'arrivo a Toplecca.

 Numero di abitanti: 5    
  


Ci fermiamo prima, passando da per seguire le indicazioni per Toplecca, un borgo diviso in due: Toplecca Superiore e Toplecca Inferiore, ai piedi del monte di Cò ed entrambi sul tracciato francigeno. Piccoli, compatti, intessuti di volte e passaggi tra le case, i paesini hanno l'identità della montagna e questo comporta l'avere pochi abitanti: come dichiara il cartello manufatto a Toplecca di sopra ci sono 5 residenti.







Il selciato del Cammino a Toplecca 
Scorci di Toplecca: lavatoi, volte, stretti borghi. Un'opera di pietra.  

 

  

La Francigena che l'attraversa ha qui ha la sua forma più autentica e arcaica: un sentiero lastricato di pietra, per lunghi tratti affiancato da secolari muretti a secco, che attraversano lineari anche i campi, a testimoniare la fatica di conquistare piccoli pezzi di terreno da coltivare e anche la buona pratica di tutelare i versanti da dissesti e frane. Si cammina sul lavoro, anzi sulla cultura del lavoro, di generazioni di uomini, capaci e competenti. Custodi della loro terra.    

                          
  Muri a secco accompagnano lungo il sentiero 


E anche dei boschi. Lungo la strada e seguendo il sentiero si scorgono infatti i vecchi essicatoi per castagne, spesso abbandonati se non distrutti ma anche loro documenti in pietra di un lavoro importante per il sostentamento delle comunità della montagna. Seguendo l'indicazione dal centro di Toplecca di Sopra, dopo 50 metri si raggiunge la "Taberna Potami" un angolo d'oriente, che non ci si aspetta nel cuore della Lunigiana.


   L'insegna della yurta Taberna Potami 
  

Di fronte ad un'abitazione, in uno spazio delimitato da una 

staccionata, spunta infatti una yurta, una tenda mongola,

circolare,che già si annuncia nella porta d'accesso che fa da centro 

di incontro e di accoglienza, per pellegrini e non solo: una delle 

azioni che racconta il progetto di decrescita, "elogio dell’ozio, 

della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza 

che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode 

e a l’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare 

il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una 

sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale". 
  Il punto ristoro di Toplecca   
                         
Così, in sintesi spiegato questo spazio animato da questa idea di fondo

"La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio".  
La yurta tra gli alberi 
 Pellegrini e viandanti possono trovare accoglienza in questo rassicurante cerchio, partecipare a seminari e incontri, ricevere ristoro, rigorosamente con piatti vegani in quest'isola, non fuori dal tempo ma di tutti i tempi.



Seguendo le indicazioni per Groppodalosio inferiore vale la pena conoscere un altro pezzo "unico " di manualità e competenza in fatto di costruzioni.  E' il ponte medievale, simbolo dell'intero percorso, che grazie alle immagini dei pellegrini ha fatto il giro del mondo: un esempio ormai raro di ponte a schiena d'asino, a arco unico che partendo dalle strutture massicce tra le due sponde sale verso il centro che è il punto più alto.

    Il ponte gobbo di Groppodalosio: un gioiello di architettura medievale  
  
Se non si intende proseguire a piedi sulla Francigena, si ritorna sulla 62 della Cisa per raggiungere Pontemoli. Un centro che merita una vista approfondita per la ricchezza architettonica per le importante testimonianze storiche e artistica, prima fra tutte il castello del Piagnaro e la spettacolare collezione del Museo delle steli. Il nostro viaggio si concentra su uno dei tesori di Pontremoli, forse meno eclatante e conosciuto ma che riassume in sé l'anima stessa del cammino di fede che in Pontremoli ha una tappa fondamentale.  






Da Pontremoli ad Aulla, tra simboli e tesori recuperati; Via dall'autostrada

Il labirinto di San Pietro a Pontremoli


La chiesa di San Pietro si trova all'estremità meridionale del borgo di Pontremoli, nel luogo in cui anticamente sorgevano la chiesa e il monastero di San Pietro de Conflentu e la porta sud (detta Fiorentina) della città, distrutte dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale. All'interno della chiesa è conservato il celebre labirinto, forse l'oggetto simbolico più significativo della Via Francigena Toscana, simbolo del pellegrinaggio medievale e allegoria della vita come tortuoso itinerario alla ricerca della Verità. Il labirinto di San Pietro, scolpito probabilmente nel XII secolo su una lastra in arenaria (60X 83 cm) che doveva essere ben visibile a quanti percorrevano la via Francigena.

 Il labirinto di San Pietro, un pellegrinaggio simbolico  
         

Nonostante la superficie scultorea sia molto rovinata, anche per lo scorrervi secolare di innumerevoli dita che simulavano il percorso non potendolo fare concretamente, è possibile osservare il labirinto formato da undici cerchi concentrici sovrastati da due figure a cavallo affrontate: al centro del labirinto è il cristogramma IHS, mentre nella parte bassa della lastra compare l'iscrizione "sic currite ut comprehendatis" (Corinzi 9,24), incitamento a percorrere la strada che conduce alla salvezza. (Un calco del labirinto è esposto all'interno del Museo Diocesano di Pontremoli). La chiesa di San
Pietro non è abitualmente aperta al pubblico.



Pieve di Sorano, stele  







Dalla statale non può passare inosservata l' imponente sagoma della Pieve di Sorano, che si trova ai piedi di Filattiera. Antichissima, austera, "spartana" ma affascinante, la pieve, straordinario esempio di architettura romanica, ha trovato posto su un vecchio insediamento romano dell'antica via mercantile per Luni, sede del porto a cui deve il nome tutta la regione. In questo luogo della cristianità restano segni misteriosi che traggono origine dal paganesimo e che custodiscono l'essenza stessa della Lunigiana. Si tratta delle statue- stele: sculture arcaiche dalle forme maschili e femminili, enigmatiche, che richiamano forse riti propiziatori, legati alla fertilità, alla protezione, con la parte superiore a forma di luna. 
    La Pieve di Sorano, a pochi metri dalla Statale della Cisa    
          
Ospitate, numerose e selezionate nel museo di Pontremoli loro dedicato, in questa pieve silenziosa ne vennero trovate sette, due delle quali si possono vedere all'interno, in contro facciata: si tratta di Sorano I e Sorano V, rinvenute nell'area della chiesa: la seconda era stata reimpiegata come architrave di un piccolo ingresso aperto in facciata, successivamente tamponato. La facciata lineare della pieve,che espone come unica forma di decorazione una sorta di quadrifoglio che fa da rosone, annuncia l'interno, a tre navate, altrettanto sobrio, con grandi archi sostenuti da pilastri rotondi, che si concludono con le tre absidi, realizzate con una decorazione architettonica su diversi livelli di profondità. Nella parte alta dell'abside maggiore si possono notare tracce di alcuni piccoli  semi capitelli figurati. Tutta la struttura, in arenaria e sassi, richiama la terra e il paesaggio circostante, dal quale è scaturita: dalla pietra delle montagne circostanti e dai ciottoli del fiume Magra. Trama e ordito della sua tessitura.


San Caprasio




Ogni borgo, ogni paese della Lunigiana meriterebbe una sosta. Dovrebbe essere conosciuto, assaporato. Per ricchezza architettonica, per l'atmosfera autentica, per la continua sintonia con il paesaggio, per la percezione di lentezza che sembra accompagnare il quotidiano di chi questi luoghi li abita. In un tempo sospeso, di ieri e di oggi. Lasciata Filattiera si può decidere, sempre procedendo sulla SS della Cisa, di allungarsi fino ad Aulla. Perché se c'è un luogo che è doveroso visitare in questo centro è l'Abbazia di San Caprasio, il santo dei pellegrini.


                   

                                L'interno di San Caprasio con il museo: uno spazio 
    recuperato e reso fruibile dai volontari       
 Questo complesso è un crocevia di umanità, maestranze, viandanti, pellegrini romei, che riassume in sé tutto il senso della via Francigena, non solo come punto di sosta tra i più antichi, ma perché qui si ritrovano insieme testimonianze e simboli che rappresentano l'essenza del pellegrinaggio. Fin dalle origini, quando su quest'asse venne fondata un'abbazia con un ospedale, intitolata san Caprasio del quale si conservano le reliquie, motivo di attrazione per i pellegrini in transito. Nella zona absidale della chiesa è possibile ripercorrere la lunga vicenda architettonica dell'edificio: all'interno dello scavo infatti sono ancora chiaramente visibili le murature di due absidi corrispondenti a fasi precedenti della chiesa; gli scavi testimoniano inoltre la presenza di numerose sepolture medievali e la traccia dei bombardamenti del 1943, con la traccia lasciata da una enorme bomba caduta proprio sulla chiesa e miracolosamente non esplosa; al centro dello scavo sono inoltre visibili due fosse che corrispondono alle due successive sepolture delle reliquie di San Caprasio, dapprima in una cassa di legno, poi in un grande e rarissimo sarcofago in stucco.







Sono state recuperate durante gli scavi nel 2003 sono oggi conservate all'interno dell'altare maggiore della chiesa. Qui dopo lunghi secoli di oblio ma soprattutto dopo i terribili bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale gli scavi archeologici e i restauri compiuti tra il 2001 e il 2010 hanno permesso straordinarie scoperte che hanno riportato alla luce le testimonianze di una delle più importanti abbazie benedettine della Toscana medievale. Nel Museo allestito in quella che anticamente fu la sala capitolare viene efficacemente ricostruito il mondo dell'abbazia medievale: le lastre marmoree carolinge scolpite con motivi fitomorfi testimoniano la raffinatezza delle fasi altomedievali mentre i capitelli romanici in arenaria animati da draghi, immagini mostruose o simboli di redenzione raccontano l'immaginario medievale, con l'eterna lotta tra Bene e Male. A custodire, con devozione, e a raccontare questo patrimonio è un gruppo di straordinari volontari. Oltre ad avere contribuito al recupero e alla ricerca di documentazione hanno dovuto fare un secondo recupero: negli anni scorsi, quando il Magra ha inondato tutto il paese di Aulla anche san Caprasio è stato sommerso da acqua e fango non si sono arresi e con un grande lavoro hanno riportato tutto gli spazi al precedente splendore.        


Il museo è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18;

sancaprasio.aulla@gmail.com; 0187 420148







Musei- patrimoni di umanità: Museo del petrolio



Musei- patrimoni di umanità

Si chiamano musei etnografici, luoghi museali, collezioni di oggetti contadini. Ma a volte le definizioni sono riduttive: ciò che accomuna i musei che qui segnalo è la cultura del lavoro. I saperi delle generazioni passate, l'identità delle genti che li custodiscono. 
La stanza delle latte: una "cappella Sistina" povera e laica, affrescata da centinaia di latte   colorate.Museo Guatelli.  



Parco Museo del petrolio di Vallezza  
Se chiedete a qualcuno del posto dove si trova il Museo del petrolio, potrebbe guardarvi stranito per qualche secondo. Per chi abita qui da una vita il sito ex estrattivo di Vallezza è ‘La miniera’. Punto. E a dire il vero non sbagliano termine. Quella custodita in questa vallecola della frazione di Neviano Rossi è una miniera vera e propria, di storia e di storie. Archeologia industriale dismessa. Ma viva. Perché abitata da centinaia di racconti, testimonianze dirette di tanti che qui hanno lavorato, oltre che di oggetti e costruzioni. Un patrimonio di luoghi, architetture, macchinari e memorie a breve distanza dalla via Francigena poco conosciuto e oggi abbandonato, che ha cambiato l’identità culturale e sociale di Fornovo di Taro nel XX secolo: la miniera petrolifera di Vallezza. 

Il sito, segnalato da cartelli come "MUPE", sigla che riassume il progetto per creare qui il Parco Museo del Petrolio, si raggiunge partendo da Fornovo prendendo la Provinciale ’39 fino al bivio per Neviano Rossi. Imboccata questa, a poche centinaia di metri, si gira a destra per immettersi in una strada secondaria, tra alcune abitazioni e campi coltivati che sembra non portare a nulla.




Fino a quando, dopo l’ultimo tratto su terra, ci si trova davanti alla facciata di due costruzioni. Abbandonate e chiuse, compreso il cancello a lato. Bisogna lavorare di immaginazione per comprendere la straordinarietà del luogo, inserito in un paesaggio collinare altrettanto unico. A venire in aiuto sono le immagini sul pannello che indica dove ci si trova. 


L'esterno del cantiere di Vallezza; un capannone e in primo piano una pompa per il fango   
Dalle immagini storiche si può inquadrare il sito, come si presentava in passato: colline con campi coltivati alternati a decine di pozzi attivi ed un centro nevraglico, costituito da numerosi edifici, comprese le case dei lavoratori: una cittadella autonoma, da pionieri della modernità. Un far west nel cuore dell'Emilia. Durante la visita è infatti possibile esplorare i resti dell’industria e del sito denominato"Cantiere" con i fabbricati ancora presenti, vedere e conoscere i macchinari utilizzati per cercare il petrolio e perforare il terreno, osservare i campioni di petrolio che presentano straordinari colori, che variano dal giallo al rosso al bruno: un modo di fare esperienza del petrolio, un materiale pregiato e fondamentale. 
   La Centrale 3: una costruzione ottagonale in legno, testimone dell'arte del recupero   
La visita permette inoltre di esplorare da vicino una Centrale di pompaggio ancora ben conservata, che trova spazio in una radura nel bosco: una rara testimonianza di un metodo estrattivo italiano, dapprima con il metodo "Pennsilvano", e dopo gli anni Venti con il metodo di perforazione "Rotary", che la Società Petrolifera Italiana sperimenta a Vallezza per la prima volta in Italia. Allo stesso modo le architetture industriali, oggi dismesse, sono testimonianza costruita della storia di questo giacimento e dell'importanza che questo sito ex produttivo ha rivestito particolarmente nel XX secolo: relitti che hanno la capacità di narrare, attraverso, il proprio corpo", la propria struttura, un importante patrimonio di memorie e di tecniche. 


                     La Centrale 3, ancora collegata ad uno dei pozzi  

Il progetto del parco prevede che, nel prossimo futuro, una parte di queste architetture e in particolare l'edificio delle Officine, possa essere messa a disposizione del pubblico mostrando, all'interno di un vero e proprio percorso museale, la storia di Vallezza e il suo ruolo sempre all'avanguardia nella ricerca del petrolio come questione scientifica nella prima parte del XX secolo.
                     
Boccetti in vetro che che servivano a raccogliere i campioni di petrolio prodotti dai diversi pozzi attivi                       


Vallezza, la storia
Vallezza è un piccolo borgo nella frazione di Neviano deì Rossi, comune di Fornovo di Taro. Attraversando oggi il paese e le sue vallate è difficile comprendere l'importanza di questo luogo nella vicenda estrattiva degli idrocarburi dalla fine del XIX secolo fino agli anni settanta del XX secolo. Il suo paesaggio, così come appare oggi, ci racconta pochi ma importantissimi dettagli della storia della ricerca petrolifera nella Val Taro, ma anche in tutta l'Italia.


Foto d'epoca: operati al lavoro sui pozzi e in officina   






Dalle sorgenti di "olio di sasso" che affioravano tra i campi coltivati, alle prime campagne di ricerca per scopi industriali nella seconda metà dell'ottocento, fino alla costruzione della Società Petrolifera Italiana, un'industria estremamente importante per l'economia del luogo, dal 1905 fino alla fine degli anni settanta.





Ripercorrere alcuni momenti di questa storia attraverso il valore del paesaggio di Vallezza, ha il significato più vasto di comprendere come il ruolo del petrolio abbia influito sull'economia nazionale italiana nella prima metà del XX secolo e come proprio il giacimento di Vallezza sia una testimonianza necessaria a non disperdere quel patrimonio di tecniche, saperi e memorie appartenenti a una produzione industriale del passato.



Il petrolio, definito nell’antichità olio di sasso o olio di roccia, è infatti impiegato da tempo immemorabile dagli abitanti dell’Alta Val Sporzana, che lo raccoglievano da pozze o buche nel terreno, da cui la sostanza emergeva per trasudazione o stillicidio della roccia arenaria locale. Nei piccoli centri di Neviano de’ Rossi, Ronco e Vallezza era frequente specie nei periodi piovosi, trovare pozze d’acqua ricoperte di uno spesso strato oleoso, che veniva separato dall’acqua con metodi artigianali e commercializzato per innumerevoli impieghi, in particolare medicinali. Le prime notizie sul cosiddetto “oro di Neviano”, giungono da Antonio Stoppani, che attorno alla metà del 1800 riferisce della presenza di circa trenta pozzi, costruiti in muratura esattamente come i pozzi per l'acqua, e profondi dai 10 ai 20 metri, che producevano, ciascuno, circa 25 chilogrammi di petrolio al giorno.


                          Gruppo di operati davanti ai capannoni della SPI  



Fino al XIX secolo il petrolio era impiegato per usi molto differenti. Principalmente esso era usato come combustibile per alimentare le lampade, ma anche come rimedio medicamentoso, lenitivo per curare problemi di cute, ed era presente in numerosi preparati medicinali. A partire dal 1860, quando il petrolio diviene una fonte energetica indispensabile per la nascente industria automobilistica.
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